Preparo
le valigie in silenzio, chiusa nella mia stanza. Non ho voglia di
parlare, sono triste, non voglio tornare a casa. Questi quindici
giorni favolosi in Australia sono letteralmente volati… il tempo
crudele li ha fatti scivolare sulla mia pelle, come se un venticello
tiepido mi avesse accarezzata un attimo il viso. E adesso più
niente…
Con
tutti i vestiti, le scarpe e i souvenir in mano guardo
disperatamente quella valigia e mi chiedo come farò a farci entrare
tutto. E soprattutto mi assilla il pensiero di non dimenticare
nulla….
Qualche
lacrima mi scende sulle guance che si rigano automaticamente di nero
a causa del mascara che cola insistentemente. Cerco di calmarmi e
rassicurarmi dicendomi che io RITORNERO’ in questa terra
meravigliosa, che ritroverò un giorno tutti gli amici che ho
conosciuto qui. Ma questo non basta. Le lacrime e i singhiozzi
continuano a tenermi compagnia in quella stanza ormai vuota, nella
quale penetra solo un po’ di luce dalle tende socchiuse.
Dopo
un poco entra Mark in camera. Mi dice che devo fare in fretta, perché
la nostra cena d’addio sarebbe iniziata tra cinque minuti. Così,
dopo un’ultima occhiata alla stanza e con l’ultimo sospiro sulle
labbra, chiudo la valigia e mi preparo con sollecitudine.
Arrivati
al ristorante dove era prevista la nostra festa, il mio umore si
ristabilizza un pochino. Vedere tutti noi in quel locale, mi riempie
il cuore di gioia e smetto di pensare che il giorno dopo sarei
partita. Mi diverto. Mi avvicino alle mie compagne di classe e ai
nuovi amici australiani: chiacchieriamo, ridiamo, scattiamo un
mucchio di foto. Mi guardo un po’ intorno, sicura che non manchi
proprio nessuno, e invece…. Che amara sorpresa! Dov’è lui?? Mi
sembrava di aver capito che venisse anche lui questa sera. Ma dopo
qualche attimo di trepidazione e timore si apre la porta del
ristorante, e dietro ad Irene e Janis , scorgo lui, Chris,
bellissimo, con un sorriso che potrebbe sciogliere la mia anima. I
suoi occhi sono, come sempre, nascosti dai lunghi capelli biondastri
che porta in modo sbarazzino. Lo fisso intensamente, per far in modo
che si accorga di me, che mi saluti guardandomi negli occhi. Mi
avvicino, sfioro il suo braccio, “Hi, how are you?” gli chiedo.
Lui scosta i capelli con un gesto deciso del capo, e lì mi sorride
perforandomi dolcemente coi suoi occhi immensamente vuoti e grandi e
azzurri. La felicità mi investe in pieno, e per un momento
dimentico di dover partire domani.
E
così tutti ci mettiamo a tavola, io mi siedo vicino a lui, per
poter respirare il suo profumo fresco. La cena prosegue
perfettamente: risate, vino, foto. L’atmosfera è un incendio di
allegria e gioia, nessuna preoccupazione per il viaggio del giorno
seguente. Finito di mangiare ci trasferiamo tutti velocemente nella
sala biliardo del locale, dove è presente un invitante juke-box,
sul quale ci scateniamo a scegliere le canzoni più allegre e
ballabili. E’ fantastico scherzare e muoversi a ritmo di quella
musica.
Dopo
un po’ non scorgo più Chris. Chiedo a sua sorella dove è andato,
ma nessuno mi sa dare una risposta. Allora provo a tornare nella
sala dove avevamo mangiato, che si è trasformata in un pub munito
di palco, sul quale si stanno esibendo dei cantanti locali. E lui è
lì, tutto solo, in uno dei primi tavoli che osserva e studia quei
cantanti e chitarristi che stanno suonando. Mi siedo vicino a lui,
perché qui mi sento più a mio agio che a ballare nella sala
biliardo. Adoro la musica live e in quella stanza mi sento in
sintonia col mondo. I gruppi si susseguono uno dopo l’altro, e la
maggior parte di loro suona cover di gruppi famosi. Ogni tanto
scende qualche innocente lacrimuccia dai miei occhi, perché alcune
di queste canzoni sono veramente struggenti, ma tutto sommato
l’unica cosa di cui mi rendo veramente conto è l’immensa
armonia che circonda Chris e me.
A
noi poi si aggiungono anche tutti gli altri, e la serata si conclude
lentamente lì, tutti assieme a canticchiare le canzoni che
conosciamo e a chiacchierare tranquillamente.
Verso
mezzanotte i gruppi finiscono di suonare, e così sui nostri visi si
dipinge un velo di tristezza, perché ci rendiamo conto che ormai è
ora di salutarsi, di andare a casa a farsi una dormita prima del
faticoso viaggio che ci aspetta domani. Io, soprattutto, non mi
limito a rattristarmi, bensì precipito in un pianto sfrenato perché
non voglio salutare tutti quanti, o meglio, per essere sinceri,
salutare Chris. Ma le sorprese non sono finite: Janis e Chris mi
chiedono se mi va di andare a casa loro per l’ultima volta, in
modo da poter stare un po’ di più assieme. Io nel giro di un
attimo sono al settimo cielo: ancora un po’ di tempo per rimanere
con lui, prima di dirgli addio per sempre.
E
così eccomi a casa loro, in giardino. La loro mamma ci prepara
delle fette di toast con la nutella. Ce ne stiamo seduti in cerchio;
nessuno sa proprio bene cosa dire, per paura di farsi uscire di
bocca qualcosa troppo triste e di scatenare di conseguenza una crisi
di pianto generale. Allora Chris se ne va in camera sua. Io lo seguo
con la coda dell’occhio, da un lato enormemente preoccupata che
possa essersene andato a dormire, e dall’altro terribilmente
speranzosa di vederlo tornare fuori con la chitarra in mano. Grazie
al cielo lui ritorna, con appunto la sua adorata chitarra tra le
mani. I miei occhi si emozionano al vederlo arrivare, le mie mani
sono sudate e desiderose di accarezzare quei suoi capelli
scompigliati, il mio cuore batte energicamente a ritmo del mondo e
dell’universo.
Sospiro,
triste, attanagliata dal desiderio di dirgli quello che provo. Ma
non posso… lui inizia a suonare. E… oh Dio, quelle sue mani così
giovani e pure, come sfiorano quella chitarra… Accarezzano quelle
corde sottili, ragnatele che brillano nella rugiada di una frizzante
alba marina; intonano note immerse in una luna fatta di miele,
sofferente e lacerata; creano un’atmosfera irrespirabile, allagata
da milioni di lacrime salate e acide e penetranti. Lui sì che
potrebbe sciogliere sale e sangue con quelle dita e quella chitarra.
Suona
con la testa chinata, capelli sugli occhi. Ma di tanto in tanto alza
lo sguardo, e punta il suo sguardo sul mio viso, in cerca forse di
un’approvazione per la canzone che sta suonando. Ha degli occhi
bellissimi, grandi e… vuoti. Ma non vuoti in modo brutto, vuoti
nel senso che sono accoglienti e pronti ad essere riempiti del mio
dolore, in modo che la mia anima triste possa andarsene un po’
dentro a loro, per depurarsi. E allora sorrido. E mi specchio in
quegli occhi, e vorrei nuotarci dentro. Ma non posso. E realizzo in
quell’istante che mi sono persa nei suoi occhi, che mi sono
innamorata di lui, e che non basterà una vita intera lontana da lui
per dimenticare come mi sono sentita bene in quell’istante,
incantata e persa in due occhi dolci e accoglienti come il mare.
Mi
viene da piangere. Ma Irene, che se n’è accorta, mi prende per un
braccio, e mi trascina sul grande tappeto elastico al centro del
giardino di Chris e Janis. Mi lancia su di esso e poi si tuffa pure
lei, e come due sciocche scatenate cominciamo a rimbalzare e a
saltare, a ridere a crepapelle, a fare le stupide. Siamo tristi da
morire, ma cerchiamo di fare di tutto pur di non pensare a quanto
stiamo male. Anche Chris e Janis arrivano lì, e cercando di placare
la nostra pazza euforia si distendono vicino a noi sul tappeto. Io e
Irene respiriamo ansimando per lo sforzo dei salti, ed è bellissimo
quell’attimo di silenzio in cui stiamo ferme ad ascoltare il
nostro fiato, il nostro cuore che esplode, il nostro essere vive.
Con un lieve movimento Chris si sposta vicino a me. Io mi giro verso
di lui, voglio catturare ancora il suo sguardo dolce. Ma lui non
accenna a guardarmi, come se si sentisse un po’ in colpa, come se
avesse capito che ha mi fatto innamorare di lui. In compenso però
si avvicina a me, appoggia la sua testa sulla mia spalla, in modo
che io possa annusare il profumo inebriante dei suoi capelli. Ed è
allora che ci eleviamo da lì, non siamo più sul tappeto, non siamo
più nel giardino, non siamo più in Australia. Siamo semplicemente
in un mondo parallelo, in una dimensione senza contorni, rumori o
colori. Un momento indimenticabile.
Se
potessi esprimere solo un desiderio, un sogno, vorrei dormire lì
con te, distenderci sulle nuvole, guardarti negli occhi per ore e
ore, accarezzarti i capelli ascoltando qualche canzone che ci piace,
purchè sia dolcissima. Vorrei che la musica ci avvolgesse
teneramente in una spirale di dolore piacevole.
Come
sarebbe stato bello stare abbracciati, ascoltare i nostri respiri,
esplorare l’odore della tua pelle, sfiorare le tue mani. Non avrei
voluto niente di più, solo un tuo candido e incomprensibile
sorriso.
In
quell’attimo arriva Angus, il cane di Janis, e la sua padroncina
scoppia in un gridolino alla vista di quel cucciolo buffo.
L’atmosfera si rompe, torno coi piedi per terra. Lascio che Chris
si alzi per tornare alla sua chitarra, e piena di domande, lacrime e
pensieri mi giro su un fianco in silenzio. Le note continuano a
scorrere lente su di me, che rabbrividisco al pensiero che domani
sarà tutto incredibilmente finito. Non voglio andare via, non
voglio lasciare quel ragazzo che si è impresso come un
dolorosissimo e indimenticabile marchio a fuoco su di me. Voglio
rimanere lì e piangere ancora sotto la luna, distesa sul tappeto
elastico con lui, nel suo giardino, sotto il fresco della betulla
che brilla, sotto quell’incredibile cielo stellato d’Australia.
Il cielo d’Australia… così immenso e pieno di stelle… perché
laggiù ci sono più stelle??? Anch’io voglio tutte quelle stelle;
anzi, a dire il vero, vorrei solo quell’unica piccola stella
dagli occhi brillanti che sta di fronte a me e suona.
Mark
richiama la mia attenzione “The taxi is coming, hurry up!”. Oh
mio Dio, no…
Non
posso, non posso davvero andare via. Scoppio in una crisi di dolore.
Guardo Chris, e gli faccio capire, anche se non vorrebbe, che sono
caduta in quella trappola acuminata e trucida che è l’amore. Lui
non sa cosa dire, cosa rispondere alla mia supplica di aiuto. Non
riesce a ricambiare il mio sguardo. Abbassa gli occhi.
“E’
tutto finito, per sempre” penso. “Che stupida illusa che sono,
come ho potuto pensare che gliene importasse qualcosa di me e
che…”. Ma in quel momento Chris intona quell’ultima canzone
che dice:
Summer
air reminds me of all the feelings of your love,
And what it was like when we were together,
Walking all along the beach, you were never far from my reach,
And you held me through the stormy weather,
And I wanna fall in love tonight,
And I remember when you said "everything's gonna be alright"
Laying in the summer grass, you told me not to talk so fast,
As I told you how I feel,
You made me feel right at home,
You told me I was not alone and you knew just how I feel,
I know we talked about it, I just can't get around it,
I just want one more night with you,
October air reminds me of all the seasons of your love,
And what it was like when we were together
The smell of fall is everywhere and though it seems,
I just don't care, 'cause now you've gone away…
Rimango
perfettamente immobile, con le lacrime che mi solcano il viso e mi
distruggono gli occhi. Niente mi avrebbe resa più felice e
afflitta, contenta e malinconica. Niente sarebbe stato più bello di
quell’ultima canzone cantata
e suonata da te, come ultimo addio.
Mi
alzo, esco con Mark e con un cenno della mano saluto. Salgo nel taxi
e torniamo a casa…
Il mattino dopo è già ora di partire. Controllo ancora una
volta tutto per bene, chiudo la valigia col lucchetto, porto le
borse in macchina. Poi via, fino all’aeroporto di Melbourne. Gli
ultimi saluti con tutti i nostri nuovi e indimenticabili amici
australiani fanno scendere qualche lacrima…
Tanta tristezza e nessuna voglia di affrontare un viaggio così
lungo e pesante per tornare in Italia. L’aereo parte. Siamo in
volo. E poi stiamo già atterrando all’aeroporto di Venezia. Siamo
a casa.
C’è
qualcosa che non va. Mi sento estremamente sola e vuota e… non so.
E’ come se mi manchi qualcosa. Ed è allora che capisco: ho
dimenticato il mio piccolo cuore pieno di cicatrici laggiù in
Australia. Forse un giorno tornerò a riprenderlo….
|